HO CONOSCIUTO UNA VERA, ANTICA BUCACENCI

CHI ERANO LE BUCACENCI?

Sono Rossana Papalini e faccio parte del gruppo  “Le Bucacenci”  del laboratorio di sartoria Auser  di Campi Bisenzio.

Siamo donne che, in precedenza, hanno fatto altre attività e si sono unite in seguito, con la comune passione per il cucito. Creiamo anche, devo dire con successo, capi d’abbigliamento originali ed unici, con tessuti di qualità che ci vengono donati, a fine collezione, da prestigiose industrie tessili  di Prato.
Vorrei raccontarvi da dove deriva il termine antico “bucacenci” perché, nella mia infanzia, una di queste persone l’ho proprio conosciuta ed ho di lei un ricordo molto dolce e tenero.
Le “bucacenci” facevano un lavoro che ora non esiste più.
Andavano a cucire a giornata, con la loro “ Singer a manovella” nella valigetta di legno scuro, presso le abitazioni private. Non erano sarte nel vero senso della parola: riadattavano vestiti o pantaloni magari del primogenito per il secondo figlio, orlavano federe, asciughini e tovaglie o applicavano ad arte delle magnifiche toppe ad un lenzuolo di lino ormai liso…
La “bucacenci” della mia mamma si chiamava Germana.
Era una vedova anziana, alta e distinta che viveva con il figlio quarantenne grande, grosso e nullafacente e sua moglie Maddalena originaria della Ciociaria, che aveva sposato per procura.
Germana faceva questo lavoro da sempre, sia nelle case del paese che in quelle dei borghi vicini.
Quando arrivava, per noi bambini era una festa perché, per tutto il giorno, ci avrebbe raccontato la sua vita avventurosa e per le nostre bambole avrebbe  cucito, con i ritagli di stoffa, mantelline, abiti e pure estrosi cappelli.
Mi ricordo di una volta in particolare: avrò avuto cinque o sei anni.
Arrivò a casa mia alle otto di mattina, indossando la sua mantellina di lana scura chiusa da un grande cammeo, con i capelli d’argento raccolti in uno chignon e la sua aria distinta,  quasi regale.
Posizionò la sua Singer nera accanto alla finestra della cucina su un mobiletto basso e  si accomodò nella sua seggiolina personale che portava sempre con sé.
La mamma aveva già preparato il lavoro per la giornata: un cappotto di mia sorella maggiore scucito che, rivoltato, avrei sfruttato io per un altro anno, poi asciughini da orlare ricavati da lenzuola lise ecc.
Mentre Germana lavorava, ci raccontava di essere stata  “ad opra”, nelle ville signorili dei dirigenti delle vicine miniere di cinabro, dove le loro signore, grate per il suo prezioso lavoro, la riempivano di regali e addirittura l’andavano a prendere e la riportavano  a casa con il loro autista.
Poi dopo un altro dei suoi affascinanti ricordi, si rimetteva a girare di buona lena la manovella della sua Singer, instancabile, fino all’imbrunire.
Quella volta, tra le tante cose da riadattare, c’era anche il golfino di lana leggera rosa, di mamma che indossava abbinato al suo taierino blu e all’immancabile filo di perle.
Che ci faceva in mezzo a tutti quei cenci?
Purtroppo ci accorgemmo che era bucato in una manica.
Germana, non potendolo riparare, non si perse d’animo e venne fuori con una delle sue trovate geniali e creative:  
“Ci ricavo un paio di mutande invernali per la Rossana! Se mi c’entrano anche due, così ha il cambio!”
Così erano, e sono ancora le  “bucacenci” .
VIVA LE BUCACENCI!



Una macchina da cucire a manovella
Foto di proprietà di Rossana Papalini










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